...incontrando Aldo Rossi.
Frammento #6
In tempi sereni o in tempi perturbati fare previsioni è sempre una follia; eppure senza immaginare futuri è impossibile orientare le nostre scelte. Ci affidiamo all’immaginazione per deformare il reale, per vederlo potenzialmente diverso da quello che è, e in questa deformazione stanno in agguato compagni di viaggio poco affidabili e tuttavia indispensabili: l’ideologia e l’utopia, entrambe figure di non congruenza con il reale perché entrambe deformano la rappresentazione che una società ha di se stessa1. Ma l'utopia e l’ideologia sono incapaci di progetto: la prima perché vuole tirarsi fuori, guardare le cose da lontano per immaginare l’altro e l’altrove; la seconda perché sovrappone al reale una propria specifica “curvatura” che la rende capace solo di auto rappresentazione (rappresentazione dei propri interessi). Così si può descrivere il paradosso dei regimi totalitari che molto costruiscono ma in assenza di progetto conducono al baratro. Negli anni ’30 del Novecento c’erano molte ragioni per interrogarsi su questi termini, ma oggi non ce ne sono abbastanza per disinteressarsene completamente, per non avere dubbi sulla fondatezza delle nostre convinzioni o sulla fertilità dei nostri sogni. Forse proprio perché sopraffatti da un universo di immagini, siamo incapaci di immaginazione. E c’è sempre qualcuno che ci offre la propria2.
Utopia e ideologia intrattengono con il progetto rapporti critici: ma se ci interroghiamo sui rapporti che il progetto intrattiene con l’utopia e l’ideologia, dobbiamo allora ribaltare la questione e prendere atto che il progetto non può fare a meno né dell’una né dell’altra; non può fare a meno di figure di non congruenza con la realtà: né dello sguardo critico sull’esistente e della immaginazione dell’altro, né della necessità di prendere posizione, di assumere un punto di vista in merito al raggiungimento di un ordine possibile. Come se, in un tentativo di difficile equilibrio, utopia e ideologia svolgessero le proprie battaglie con il reale sulla frontiera della libertà proprio all’interno del progetto. Battaglie dagli esiti incerti ma delle quali si possono determinare gli effetti: quando la cultura progettuale in una data fase storica non sa alimentare le proprie utopie esplorando col pensiero le terre promesse e non sa disvelare le proprie ideologie riguardandole dall’esterno, allora sono in agguato forme utopiche e ideologiche nascoste e sempre latenti che inducono gli stessi o peggiori effetti. Quando da troppo tempo non si parla di utopia e di ideologia bisogna interrogarsi sullo stato della propria cultura progettuale, soprattutto quando, come nelle fasi attuali, torna alla luce l’altra fauna (le sfingi, i grifi, le chimere, i draghi, gli ircocervi, le arpie, le idre, i liocorni, i basilischi riprendono il possesso della città)3 e sussistono forti dubbi sulla effettiva incidenza del progetto (architettonico e urbano) sulla realtà4.
Su un tema così complicato rimane, come luminosa esperienza, la costante ricerca di Aldo Rossi (1931-1997): esaltare la ragione impregnandola di fantasia e di libertà. Dopo 10 anni dalla pubblicazione del testo “L’architettura della città”5 Aldo Rossi, alla Biennale di Venezia del 1976, espone il grande collage “La città analoga” una grande tavola collettiva (Aldo Rossi, Eraldo Consolascio, Bruno Reichlin, Fabio Reinhart) come ulteriore maturazione e sviluppo della ricerca sulla “architettura analoga” alla quale ha dato corso soprattutto negli anni della sua presenza a Zurigo. Un decennio (1966-76) – scrive Rossi – che ha lasciato il volto “della città democristiana e della città del centrosinistra più incombente per volumi, buoni affari e stupidità di quello della città fascista”6. È a questa realtà che occorre dare un’alternativa perché è finita l’epoca dei modelli urbani, delle tecniche urbane, dell’autodescrizione, della funzione spacciata per soluzione. Trae così ispirazione dal quadro del Canaletto nel quale, “attraverso uno straordinario collage si costruisce una Venezia immaginata impiantata su quella vera. E la costruzione avviene mediante progetti e cose, inventate o reali, citate o messe insieme proponendo un’alternativa nel reale”. Come per Boullée, testimone d’elezione, anche per Rossi il progetto muove dal “reale”: il realismo è l’ispirazione dell’architettura. Ma se per Boullée il reale è la natura, per Rossi è la storia e l’architettura è la città in quanto fatto sociale e storico per eccellenza. Su questo fatto sociale mette in opera e sperimenta le forme della rappresentazione e del progetto, forse il più esplicito, consapevole e conseguentemente sofferto confronto fra ideologia e utopia per la conquista della libertà.
Una immaginazione nel reale che, con il reale vuole essere manifestamente incongruente per l’ideologia che l’ispira e congiuntamente profetica per la distanza che assume enunciandosi per via di analogia, come se, della realtà, si potesse dare una piena rappresentazione solo attraverso il filtro dell’immaginazione. Ne consegue un nuovo modo di concepire l’architettura e la città e, soprattutto il loro rapporto: la teorizzazione della città per parti come metodo per rendere ancora possibile il progetto dell’architettura e il progetto della città. Ricerca che gli valse riconoscimenti unanimi, fino al premio Pritzker del 1990, e soprattutto la grande ammirazione e attenzione da parte dei principali architetti del periodo.
Sulle rive della laguna di Santa Gilla, tra il 2000 e il 2003, è stato realizzato il “Campus tecnologico Tiscali” che può essere qui richiamato non solo per l’autorità dei professionisti in continuità con una militanza culturale dichiarata, ma soprattutto come esempio concreto delle risonanze della contemporaneità nella nostra dimensione locale.
Enrico A. Corti
Ingegnere – già docente di Composizione Architettonica e Urbana
Facoltà Ingegneria e Architettura – Università di Cagliari
1. Il riferimento è al testo di Karl Mannheim, Ideologia e Utopia (1929), ed. it. Il Mulino, Bologna 1957. Ideologia e Utopia sono figure trascendenti rispetto al reale perché ne deformano la rappresentazione; l’ideologia per sostenere un interesse per perpetuarlo; l’utopia per suscitare il desiderio dell’altrove e dell’altro.
2. N. Klein, How big tech plans to profit from the pandemic, The Guardian (sito web), 13 maggio 2020. L'articolo della Klein è disponibile qui.
3. Non c’è modo migliore che ricorrere al racconto metaforico di Calvino per stimolare proficue meditazioni: l’inutile e pericolosa battaglia di Teodora contro gli abitanti dei suoi sotterranei ci suggerisce grande prudenza nei confronti degli invasori indesiderati... «Relegata per lunghe ere in nascondigli appartati, da quando era stata spodestata dal sistema delle specie ora estinte, l’altra fauna tornava alla luce dagli scantinati della biblioteca dove si conservavano gli incunaboli, spiccava salti dai capitelli e dai pluviali, s’appollaiava al capezzale dei dormienti. Le sfingi, i grifi, le chimere, i draghi, gli ircocervi, le arpie, le idre, i liocorni, i basilischi riprendevano il possesso della città. Le città nascoste», I. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Milano 1972, p. 164.
4. Estratto dal panel Fra progetto e utopia/ideologia presentato al IV Congresso sugli studi utopici, Madrid 2004.
5. A. Rossi, L’Architettura della Città, Marsilio, Padova 1966. Nel libro, tradotto praticamente in tutte le lingue, si pongono le basi per la rappresentazione dei fenomeni spaziali come procedimento di significazione (e dunque implicante il progetto) piuttosto che (secondo la linea gregottiana) come esplicitazione di processi formativi delle morfologie urbane e territoriali.
6. A. Rossi, La città analoga (1976), in A. Ferlenga (cur.), Aldo Rossi. Architetture 1959-1987, Electa, Milano 1987, p. 118.